16 Gen L’arte perduta della convalescenza
Come si faceva una volta?
Appena tornata dalla California in questi giorni, avevo tante buone intenzioni per l’anno nuovo con mille iniziative – nuovi articoli, nuove proposte di lavoro, pubblicità e marketing, sistemazioni in casa, ecc… e poi, nonostante la mia “dieta super-sana” mi sono ammalata.
Questo NON era previsto.
Mi sembrava un semplice raffreddore e ho continuato con il mio solito ritmo (frenetico) appena rallentato grazie al fuso orario di 9 ore. Alla fine però il mio corpo aveva altre idee. Mi ha fermato di colpo e in un modo che non potevo ignorare: mi ha tolto la voce, aggiungendo la febbre e sottraendo quasi tutta la mia energia. Per un’insegnante di yoga questa combinazione di afflizioni è abbastanza paralizzante : se non funziona bene il corpo, posso comunque guidare la pratica dando indicazione seduta sullo zafu – ma quando non funziona il corpo e non c’è la voce per guidare la pratica…la pratica non si fa.
Dopo qualche ora di riflessione ho capito che dovevo rimandare tutte le lezioni di giovedì. Mandando i messaggi di avviso agli allievi mi sono accorta quanto questo piccolo cambiamento di ritmo e routine mi stava scombussolando. Ho sentito un senso di colpa verso gli allievi, un senso di responsabilità mancata, e poi la frustrazione del restare a casa e non riuscire a fare le cose che dovevo/volevo/avevo progettato.
Ho poi pensato a quello che mi aveva detto il mio medico ‘tuttologo’, meraviglioso, tanti anni fa dopo una forte influenza : la convalescenza è una fase critica della malattia ma la nostra società non crea nè tempo nè spazio per farla. È piuttosto considerato un lusso, o peggio, una debolezza di carattere.
Ci vantiamo quando facciamo “l’influenza in piedi”, come fosse una medaglia di guerra.
Una volta invece, non tanto tempo fa, il periodo di convalescenza era considerato parte integrante del percorso della malattia, che bisognava rispettare per avere maggior possibilità di ripresa (e sopravvivenza).
Infatti, la parola ‘convalescente’ deriva dal Latino “tardo” cioé risanare, rinvigorire”.
Fino a metà del secolo scorso c’erano molte strutture dedicate ai convalescenti delle malattie infettive, ad esempio.
Io soffro di un’ sistema immunitario sempre in allerta dove anche i farmaci blandi (aspirina, tachipirina) mi danno reazioni anomale e severe, quindi la convalescenza non è un’ opzione, né un lusso – devo osservarla se non voglio rischiare che la mia situazione peggiori (gli antibiotici non sono opzione valida per me).
Eppure ogni volta che mi ammalo faccio fatica a seguire i ritmi del mio corpo quando chiede aiuto e pausa –e la mia mente si illude di poter saltare non solo il momento “convalescente” ma anche quello della malattia usando la sua forza (immaginaria!) che mi sorprende per la sua tenacità.
Come brava yogini vorrei dirvi che i miei poteri di auto-osservazione e consapevolezza guadagnate con sudore (e qualche lacrima) sul tappetino della vita sono stati messi in atto senza fatica, ma la realtà è diversa e comprendo che è sempre una sfida quando sento che il corpo cede alle forze della natura (l’età, i virus, gli sbalzi ormonali!).
La visione che avviene con il distacco di una mente osservante e non invadente spesso mi sfugge e si ripresenta più o meno velocemente quella parte prepotente della mia testa che vuole controllare tutto – e mi fa credere a volte che è possibile.
Nello yoga a quella parte controllante della mente viene dato un nome: l’ego – la parte di me che pensa di avere controllo su questa vita e su questo corpo.
Che sia l’ego o semplicemente un ricordo più o meno dolce della condizione umana, la realtà alla fine è semplice: ci sono forze molto più grandi (o nel caso del virus della influenza, cose molto più piccole!) di me e della mia mente piccina, e queste cose agiscono su di me sempre, che mi piaccia o no e nonostante i miei desideri più (di)sperati.
Mi ritrovo più umile, umana, ammalabile.
I miei allievi sicuramente sono andati avanti benissimo senza la lezione di ieri; anzi cercando di essere una super-insegnante avrei esposto tutti loro a questa influenza miserabile. E questa esperienza di convalescenza – forzata all’inizio, è stata goduta quando mi sono riinfilata a letto nel pomeriggio, dopo aver cercato di fare un bucato e la cena per le ragazze lasciando tutto quanto fatto a metà. Una piccola vittoria per il corpo e, alla fine, un grande sollievo per la mente.
Dopo qualche ora di sonno e sogni profondi mi sono svegliata con una nuova energia…e mi sono messa a stendere i panni e continuare la preparazione della cena. Ho pulito il frigo e ho controllato le mail e facebook. Sigh.
La ricerca dell’arte perduta della convalescenza continua. C’è sempre domani…
Intanto, ogni volta che succede qualcosa del genere familiarizzo con il mio ego che non è così cattivo come talvolta lo dipingo. Anche lui (lei?) sta cercando di sopravvivere…poverino. Forse la convalescenza è anche un mezzo per aiutarci a convivere con tutto quello che sembra antipatico di noi stessi e della nostra esistenza umana. La pazienza che avviene quando finalmente cediamo alla realtà – un po’ come la sensazione di sprofondare nel letto e concederci un bel pisolino…
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